Le piastrelle italiane vedono oltre la crisi

 

Che il 2009 sia stato l’anno peggiore per l’industria ceramica made in Italy è ormai una certezza. I dati previsionali resi noti da Confindustria Ceramica rilevano un calo delle quantità vendute del -19,4%. I metri quadrati commercializzati sono tornati ai livelli di venti anni fa, a 406 milioni. Anche la produzione si è contratta di conseguenza fermandosi a 360 milioni di mq, un calo prossimo al -30% rispetto al già difficile 2008, e che ha bruciato in un solo anno 150 milioni di mq.
Il divario tra produzione e vendite ha però consentito di ridurre gli stock a magazzino di 50 milioni di mq, pari al 19% delle piastrelle stoccate nei piazzali degli stabilimenti del comprensorio a fine 2008.

A incidere drammaticamente su questi risultati il fatto che i Paesi maggiormente colpiti dalla crisi internazionale sono quelli dove i produttori italiani commercializzano il 90% dei propri prodotti.
I cali delle vendite registrati delle imprese italiane sono omogenei sia sul mercato domestico sia su quelli esteri. Le vendite in Italia si sono fermate a 122 milioni di mq (-19,1%), mentre quelle all’estero sono scese a 286 milioni di mq (-19,6), con picchi – nei primi nove mesi dell’anno - del -39% negli Stati Uniti e del -46% in Russia.

Elementi di positività

Non mancano però i dati positivi, come ha orgogliosamente ricordato Franco Manfredini nel corso della conferenza stampa di fine 2009. “Restiamo leader indiscussi in qualità ed export” – ha dichiarato il Presidente degli imprenditori italiani della piastrella valley. “Nonostante quest’anno terribile abbia bruciato circa un miliardo di euro del fatturato di settore, le nostre imprese hanno continuato a credere e investire nell’innovazione, destinando oltre 270 milioni di euro alla Ricerca&Sviluppo e all’acquisto di macchinari di ultima generazione che ci consentiranno di mantenere e aumentare il divario qualitativo ed estetico rispetto ai nostri concorrenti internazionali”.

Ed è proprio dall’export che arriva un’altra buona notizia. Degli 1,8 miliardi di mq di flussi di commercio mondiale nel 2009, il 20% in quantità e oltre il 35% in valore erano italiani. “Anche in questi ultimi dodici mesi” – ha osservato Manfredini – “ siamo riusciti a incrementare i prezzi medi di vendita all’export, a conferma della nostra capacità di creare valore aggiunto e differenziarci dalla concorrenza”.

Il 2010

Il fondo della crisi è stato però toccato. Di questo sono convinti in Confindustria Ceramica nonostante le previsioni per il prossimo anno non siano particolarmente rosee.
Per quanto riguarda l’industria italiana, le vendite sono attese ancora in calo a 394 milioni di mq, mentre la produzione potrebbe restare per altri due anni (fino al 2011) sui livelli del 2009, grazie anche ad una contemporanea riduzione delle scorte a magazzino.
Anche nel 2010 il contenimento delle vendite è imputabile ad un peggioramento del mercato nei principali Paesi di sbocco del made in Italy. Queste valutazioni portano a stimare ancora in calo le esportazioni italiane che, nel 2010, si ridimensioneranno a 275 milioni di mq (-3,8%), così come in contrazione sono attese le vendite in Italia a 119,4 milioni di mq (-2,1%).

I contraccolpi sui costi e redditività

I cali di fatturato e produzione stanno intaccando anche redditività, produttività e costi delle aziende ceramiche italiane.
Nel biennio 2008-2009 infatti la portata della flessione della produzione ha appesantito notevolmente le strutture di costo delle aziende. I costi operativi per unità di prodotto sono stimati crescere nel 2009 del 3,4%, così come in crescita dell’1,8% risulta essere anche il prezzo alla produzione. Il differenziale negativo tra la dinamica dei prezzi e quella dei costi si è tradotta in una riduzione del mark-up anche nel 2009, portando i margini sulle vendite a livelli minimi.
La situazione non migliorerà neanche nel 2010, quando i livelli di produzione si manterranno ben al di sotto dei livelli pre-crisi determinando conseguentemente problemi di produttività, di eccesso di forza lavoro, e rigidità dei costi.
 

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