2021 da record per la ceramica italiana

L’industria ceramica italiana archivia un 2021 straordinario, con ricavi totali a 7,5 miliardi di € (+21% sul 2020). La parte del leone spetta come sempre al settore delle piastrelle che ha fatturato quasi 6,2 miliardi di € (+20% sul 2020 e +15,4% sul 2019), di cui 5,2 miliardi da esportazioni.

Un giro d’affari complessivo da 7,5 miliardi di euro, in aumento del 21% sul 2020 e del 14,5% sul 2019 (vale a dire circa un miliardo di euro in più in due anni). È la cifra record raggiunta a fine 2021 dall’intera industria ceramica italiana, un totale di 263 aziende e 26.537 addetti attivi nella produzione di piastrelle, sanitari, stoviglieria, refrattari e laterizi.

Una fotografia – quella che emerge dall’Indagine Statistica Nazionale di Confindustria Ceramica presentata all’Assemblea annuale dei soci il 15 giugno – che sancisce il recupero (e per parecchi indicatori, il superamento) dei livelli pre-pandemia, lasciando intuire una ripresa strutturale, benché pericolosamente minacciata dalle ormai note criticità legate ai fortissimi rialzi dei costi.

L’industria delle piastrelle

Tutti in forte progresso gli indicatori del comparto delle piastrelle e lastre ceramiche che conferma il suo ruolo predominante nell’industria ceramica italiana.

La produzione è risalita a 435,3 milioni mq - il volume più alto dal lontano 2008 -, recuperando un +26% sul 2020 e un +8,6% sul 2019.

Superiori le vendite totali, per le quali si è attinto anche alle scorte: 455,3 milioni mq (+16,5% sul 2020 e +11,9% sul 2019), volumi che non si registravano, appunto, dalla crisi finanziaria del 2008 e a cui hanno contribuito sia il risveglio del sonnolento mercato italiano che, soprattutto, l’export. Dopo oltre dieci anni, infatti, si è finalmente invertita la rotta della domanda sul mercato interno, sostenuta dalla forte ripresa dell’attività edilizia e delle ristrutturazioni: qui, le vendite di piastrelle made in Italy hanno raggiunto i 91,2 milioni mq (+24,4% sul 2020 e +9,2% sul 2019), un quinto delle vendite totali.

Le esportazioni sono invece schizzate a 364 milioni mq (+14,6% sul 2020 e +12,6% sul 2019); l’ultimo volume di export più alto risale al 2007!. Bene soprattutto le vendite in Unione Europea, dove sono stati esportati 218,5 milioni mq, in crescita del 12,6% sul 2020.

Maggiori volumi di vendita e rialzo dei prezzi medi hanno consentito alle aziende ceramiche italiane di chiudere il 2021 con un fatturato totale di 6,17 miliardi di euro (+20% sul 2020 e +15,4% sul 2019), di cui 967 milioni realizzati sul mercato interno (+34% sul 2020, +16% sul 2019) e 5,2 miliardi di euro all’esportazione (+18% sul 2020 e +15,3% sul 2019), anche in questo caso il picco storico. Alla fine dello scorso anno, il prezzo medio di vendita sul mercato interno era salito a 10,6 €/mq, quello all’esportazione a 14,3 €/mq, circa il doppio dei principali competitor spagnoli e quasi il triplo di quelli turchi. Vale la pena ricordare che l’industria italiana detiene il primato mondiale per valore delle esportazioni, pari a oltre un quarto del valore dei flussi globali di import-export di piastrelle.

Un altro indicatore in netto recupero nel 2021 riguarda gli investimenti che, dopo la naturale flessione del 2020 a causa della crisi pandemica, sono tornati quasi ai livelli del 2019: 350,6 milioni di euro (+73% sul 2020), pari al 5,7% del fatturato totale del settore.

Da sottolineare, infine, che al giro d’affari realizzato dalle 131 aziende attive in Italia va sommato anche quello derivante dall’internazionalizzazione produttiva: oltre 900 milioni di euro realizzati da 15 società estere controllate da 9 gruppi italiani che, nei loro stabilimenti in Europa e Nord America, hanno prodotto 90 milioni mq di piastrelle, per lo più destinate ai rispettivi mercati domestici.

Si naviga a vista, tra fiducia e preoccupazioni

Giovanni Savorani

Come già viene ribadito da mesi, alla straordinarietà dei livelli di domanda di piastrelle sui mercati internazionali, oltre che su quello interno, fa da contraltare l’altrettanto extra-ordinaria esplosione dei costi dei fattori produttivi che mette a rischio la competitività internazionale del settore e impatta in maniera importante sulle marginalità delle aziende.

Due lati della medaglia su cui si è soffermato il Presidente di Confindustria Ceramica Giovanni Savorani, che in occasione dell’Assemblea dei soci è stato riconfermato alla guida dell’associazione per il biennio 2022-2023 con il 99,6% dei voti.

“Viviamo un momento storico particolare, caratterizzato da grande incertezza e forte accelerazione dei cambiamenti a causa del concatenarsi di troppi fenomeni esterni al nostro controllo. Questo ci impone la massima attenzione e flessibilità nelle scelte quotidiane, oltre a rendere difficilissimo fare previsioni. Quello che è certo è che anche nel primo semestre 2022 si è confermato il trend di crescita a doppia cifra delle nostre vendite e tutte le aziende del settore stanno correndo per far fronte al ritmo degli ordini. Gli analisti mettono in guardia per un possibile rallentamento della domanda nella seconda metà dell’anno, soprattutto a causa di variabili, per ora imprevedibili, legate all’evoluzione del conflitto in Ucraina. Ma finché il mercato continua a tiare così, restiamo fiduciosi di poter consolidare anche nel 2022 i risultati dell’anno scorso e di poter recuperare gradualmente anche gli extra-costi esorbitanti che stiamo affrontando”.

Extra costi di cui il presidente Savorani fornisce anche una prima stima.

“Già solo il rincaro del prezzo del gas naturale produrrà una extra bolletta annua per l’intero settore nell’ordine dei 900 milioni di euro, a cui vanno aggiunti tutti gli altri aumenti: +224% i pallet in legno, +180% gli imballaggi, +120% la plastica, i noli marittimi quintuplicati, le materie prime più costose anche del 50% rispetto a quelle ucraine, oltre alle tariffe ETS alle stelle. Approssimando, possiamo parlare di extra-costi per circa 1,6 miliardi di euro. È evidente che la possibilità di trasferire sui prezzi questi aumenti ha oggettivamente dei limiti e sta creando fortissime tensioni nelle marginalità aziendali”.

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