La piastrella italiana resiste anche alla “tempesta perfetta”
Dalle incognite su disponibilità e prezzi del gas alla corsa per sostituire le materie prime ucraine. L’industria ceramica italiana affronta la sfida del nuovo capitolo “rincari” in uno scenario di mercato che resta molto positivo. Il commento di Savorani, Tioli, Fabbri e Verdi.
Ilaria Vesentini, MECS (Modena, Italy)
Da un lato l’embargo occidentale verso la Russia, che mette un’ipoteca sulla possibilità di avere gas economico per tenere accesi i forni. Dall’altro la distruzione di ogni attività e flusso logistico nella regione ucraina del Donbass, da dove arrivava la miglior argilla per produrre le piastrelle italiane: 2 milioni di tonnellate l'anno, che da Mariupol giungevano al porto di Ravenna e che coprivano circa un quarto del fabbisogno di argilla e caolino del distretto di Sassuolo. Per l’industria ceramica italiana lo scoppio del conflitto in Ucraina era parso come “la tempesta perfetta” in una situazione che, da metà 2021, era già drammatica per via dei rincari dei costi energetici (quintuplicati in un anno) e delle quote ETS (i titoli europei sulle emissioni di CO2) ormai sui 100 Euro.
Eppure lo scenario catastrofico paventato, col rischio di dover fermare la produzione, non si è realizzato. A marzo, 30 imprese avevano richiesto la Cassa integrazione per 4000 addetti, ma gli ammortizzatori concessi sono stati utilizzati solo in minima parte, perché l’esplosione della domanda di piastrelle italiane ha indotto i produttori a riaccendere in fretta i forni per non perdere mercato, nonostante il salasso per il conto economico e rimandando al prossimo anno le analisi sulle marginalità.
“Non solo oggi stiamo tutti lavorando a pieni giri - afferma il presidente di Confindustria Ceramica Giovanni Savorani -, ma siamo stupiti per la risposta dei clienti, non abbiamo perso un ordine nonostante l’aumento dei listini dal 10 al 20%, necessario per recuperare almeno in parte i rincari”.
Addirittura i produttori italiani stanno recuperando competitività rispetto ai player spagnoli, oggi alle prese con gli stessi problemi di bollette impazzite e argille razionate, ma con prezzi medi delle piastrelle che sono la metà di quelli italiani (7€/mq contro 14€/mq) e che rendono molto più difficile per i ceramisti iberici scaricare a valle, in proporzione, i maggiori costi di produzione.
La conferma che il mercato tira ben oltre le previsioni è arrivata dall’ultima edizione di Coverings, lo scorso aprile a Las Vegas, da dove i 100 brand italiani presenti sono rientrati con il portafoglio pieno di ordini.
Materie prime ora da India e Turchia
Grazie ad un’impegnativa corsa contro il tempo, il temuto esaurimento degli stock di materie prime non si è verificato.
“Già in aprile al porto di Ravenna ha attraccato la prima nave turca carica di argille, caolini, feldspati per sostituire i materiali ucraini per le produzioni di fascia media, e altre quattro arriveranno entro settembre; mentre per i prodotti di alta gamma, ovvero le lastre, per cui servono materiali di primissima scelta, è partita in questi giorni la prima nave dall’India e ne abbiamo già programmata una seconda”,
spiega Villiam Tioli, presidente della Caolino Panciera di Fiorano Modenese, il maggiore fornitore di materie prime del distretto, nonché proprietario della ceramica Zeus, a Slavyansk, nel Donbass, oggi ovviamente bloccata.
Il blocco del Donbass, a prescindere dalla durata del conflitto russo-ucraino, non si risolverà prima di un paio d’anni e tutti si stanno riorganizzando per diversificare gli approvvigionamenti, non senza difficoltà.
“Le argille ucraine non potranno più arrivare perché porti, ponti e ferrovie sono distrutti e ci vorrà tempo per ricostruirli e tornare alla normalità”, spiega Tioli. “Nel frattempo la situazione è tutt’altro che semplice - aggiunge -, non solo perché le argille indiane costano molto di più e il cambio euro-dollaro sta aggravando ulteriormente i nostri costi, ma perché anche i produttori e il Governo turchi iniziano a tirarsi indietro di fronte alla maggiore domanda, imponendo nuove autorizzazioni all’export, razionando le forniture e incrementando i prezzi”.
Le incognite sul costo del gas
Riformulate in tempi record le ricette degli impasti sulla base delle nuove materie prime, nel distretto di Sassuolo la fiducia di queste settimane indotta dal deciso aumento di ordini non basta però a gettare luce sul futuro.
“Siamo riusciti a trovare argilla di qualità simile a quella ucraina in India, ma ci è costata il 40% in più – precisa Roberto Fabbri, presidente del gruppo ABK – e finché il costo del gas metano resta sotto 1 €/mc riusciamo a lavorare con marginalità non negative. Il problema è se scatta il blocco completo delle importazioni dalla Russia, perché abbiamo calcolato significherebbe un costo del gas di 1,5 euro, insostenibile per le industrie energivore come la ceramica, con conseguenze catastrofiche per il distretto. Per altri 6-7 mesi il gas russo è indispensabile”.
ABK sta lavorando a pieno regime, complice anche una produzione di fascia alta specializzata in grandi lastre e nonostante aumenti dei listini che da novembre a oggi sono stati rialzati del 17%.
È una crisi strana, commentano gli imprenditori di Sassuolo, perché sostenuta da una domanda fortissima e prezzi cresciuti a doppia cifra, che farà lievitare i fatturati, ma costringe a lavorare senza alcuna visibilità sul futuro.
“L’anno scorso il consumo di gas ci era costato 10 milioni di euro, quest’anno arriveremo a 50 milioni di euro e anche se il fatturato è previsto in ulteriore crescita, oltre quota 300 milioni di euro, stiamo parlando di un’incidenza del gas sui ricavi esorbitante”, commenta Graziano Verdi, Ceo di Italcer Group, che in aprile ha toccato un picco del portafoglio ordini, +70% rispetto all’anno prima, tra crescita della domanda e incremento del 25% dei prezzi.
E anche se nel giro di un anno pare sarà realizzato il rigassificatore al largo di Ravenna e riprenderanno le estrazioni di gas dall’Adriatico, ciò non basta a tranquillizzare i produttori sulla tenuta del settore, da anni nel mirino di Bruxelles in quanto industria energivora oggetto di politiche penalizzanti in nome della sostenibilità green.
“È incomprensibile - spiega Savorani - come la stessa Europa che l’anno scorso ha impresso un’accelerazione in nome dell’ambiente con il pacchetto climatico “Fit for 55”, minando le basi della competitività italiana con costi sulla CO2 che non vigono in nessun altro Paese, ora sigli accordi di fornitura di shale gas dagli Usa (dove si usa il fracking proibito in Europa), quando abbiamo in casa tecnologie per l’estrazione e giacimenti di gas sotto i piedi”.
“Quello che ci aspettiamo dal Governo - rimarca Graziano Verdi - è che mantenga l’impegno di riservare il 30% del gas nazionale ad aziende gasivore ed energivore al prezzo di mercato, con una anticipazione di 250 milioni di euro, di cui il Paese rientrerebbe in tempi rapidi, perché estrarre il gas nel nostro Adriatico costa 5/6 centesimi/mc conto l’attuale prezzo di mercato di 1 euro (e i 25 centesimi di un anno fa). Nel nostro gruppo avevamo fatto coperture sui prezzi del gas quindi siamo riusciti a preservare le marginalità. Inoltre, stiamo completando investimenti mirati, prima in un cogeneratore e ora in 2 MW di tetti fotovoltaici sullo stabilimento di Rubiera per essere totalmente autosufficienti per la parte di energia elettrica”.
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